Duomo

L’attuale Duomo di Ravenna sorge sul sito dell’antica chiesa di hagia Anastasis (santa Resurrezione), denominata ‘Ursiana’ dal nome del fondatore, il vescovo Orso (Ursus), la cui dimora sorgeva nelle adiacenze. L’edificio originario, di cui possiamo ipotizzare la struttura grazie agli scritti dell’Agnello (IX secolo) e a saggi e scavi succedutisi nel tempo, constava, probabilmente, di cinque navate scandite da quattro filari di colonne. La chiesa doveva presentarsi ancora molto ricca nell’Alto medioevo, quando, sempre dal Liber Pontificalis dell’Agnello, si apprende che le sue pareti erano ricoperte di lastre marmoree, mosaici e stucchi. Si può ritenere che durante il X secolo fu eseguito un significativo intervento, che manteneva comunque l’impostazione a cinque navate con abside poligonale all’esterno e semicircolare all’interno, con le pareti della navata centrale caratterizzate da sette finestre a feritoia: in tale occasione nella basilica, ormai fortemente interrata, furono rialzati il piano pavimentale e le colonne, con conseguente rifacimento dei muri e dell’area absidale, sotto la quale, nell’intercapedine risultante tra le due fasi pavimentali, fu ricavata una cripta a forma di mezzaluna. Al 1112 risale, probabilmente, il complesso mosaico parietale absidale, oggi perduto, documentato da un disegno di Gianfrancesco Buonamici eseguito prima della distruzione. La fase medievale si conservò, infatti, fino alla decisione dell’arcivescovo Crispi di commissionare, nel 1721, un ‘rimodernamento’ della basilica Ursiana, notevolmente degradata e declassata già nei resoconti dell’inizio del Settecento: dopo l’abbandono dei primi progetti, i lavori furono affidati all’architetto esordiente Gianfrancesco Buonamici che, tra notevoli difficoltà tecniche, lavorò dal 1733 al 1745 sotto l’arcivescovo Maffeo Nicolò Farsetti. Nonostante la forte avversione di vari intellettuali del tempo (sentimento registrato ad es. nelle cronache di Benedetto Fiandrini e Francesco Pioli), i lavori di rifacimento che – specie per via dell’inesperienza del Buonamici, secondo le celebri accuse del Soratini, suo rivale – finirono per comportare la distruzione della fase antica e la ricostruzione pressoché integrale della chiesa, nella forma oggi visibile, ispirata a quella di S. Ignazio a Roma. Già negli ultimi decenni del Settecento ulteriori architetti, tra i quali Cosimo Morelli (1774) e Camillo Morigia, curarono una serie di importanti lavori di modifica, alleggerimento e rifacimento all’assetto: tra questi, Giuseppe Pistocchi rifece interamente (1780-81) la cupola, assai criticata, voluta dal Bonamici. Dell’impianto medievale restano poche parti, tra cui il campanile (pur rimaneggiato), e la celebre Cappella alto-seicentesca della Madonna del Sudore, che preserva una tavoletta lignea dipinta a tempera con un’immagine della Vergine, attribuita a un pittore riminese del Trecento: il nome deriva dalla notizia del miracolo avvenuto nel 1512, in occasione della tragica battaglia di Ravenna, quando l’icona per la prima volta avrebbe sudato sangue.

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